Gli antimoderni by Antoine Compagnon

Gli antimoderni by Antoine Compagnon

autore:Antoine Compagnon [Antoine Compagnon]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2017-11-24T05:00:00+00:00


Il momento politico

Thibaudet si chiedeva cosa avesse condotto la maggior parte dei grandi critici del XIX secolo a scivolare verso la politica. François Guizot, Victor Cousin e Abel François Villemain, e poi Taine, Brunetière, Lemaitre e Faguet, tutti «aggiunsero supplementi rilevanti di critica politica alla loro critica letteraria»132 – e sempre sul versante del dogmatismo e del partito preso. Addirittura Sainte-Beuve finì senatore133. Thibaudet collegava questa tendenza al moralismo impenitente della critica professionale. Lui stesso, refrattario alla critica militante, passò tuttavia alla critica politica verso i cinquant’anni, ma in senso inverso rispetto agli altri, senza dogmatismi né partiti presi, «non neutrale per abdicazione, ma volendo la neutralità per posizione»134, mescolando i punti di vista di destra e di sinistra, con la stessa empatia di un critico letterario, sul modello del Proudhon di Sainte-Beuve, moltiplicando i dualismi e spacciandoli per pluralismo.

Forse, però, Thibaudet, filosofo, storico e geografo di formazione, aveva in realtà sempre fatto critica politica, in particolare nei suoi Trente ans de vie française, la sua opera più ambiziosa, anche se Alain, filosofo radicale, non era di questo parere, ritenendo che Thibaudet avesse qui «scritto il suo addio a un tempo cancellato, forse anche a eroi privi di spessore»135 il cui impulso si era perduto negli anni Trenta. Egli aveva in ogni caso rinunciato a portare a termine i suoi ritratti dei grandi uomini della propria giovinezza – i due capi spirituali del nazionalismo, Maurras, il provenzale, «doganiere anti-Rousseau del nazionalismo»136, con il quale condivideva il gusto «dei bei versi e dei paesaggi classici», e del quale lodava nel 1909 l’Enquête sur la monarchie137 definendola come «il più potente sforzo di dottrina politica che abbia avuto luogo da molto tempo in casa nostra, almeno dall’epoca di Alexis de Tocqueville, credo (e se non parlo né di Renan né di Taine non è perché me ne sia dimenticato)»138, e Barrès, il lorenese, il cui Le Culte de moi, letto negli abbaini del liceo Louis-le-Grand139, lo aveva deliziato, accanto a Bergson, suo maestro venerato fin dai banchi dell’Henri-IV – per un’esposizione d’insieme sulla sua generazione, per la quale non era ancora pronto. Questo progetto rientrato fu ripreso, venuto il momento, nei tre saggi politici degli anni Venti e Trenta, Les Princes lorrains, La République des professeurs e Les Idées politiques de la France, in modo più libero, sotto forma di analisi dell’attualità politica.

Anche Les Princes lorrains è un libro sbilenco, con la parte iniziale dedicata all’elogio di Barrès, da poco scomparso, mentre, nel dialogo che segue, Thibaudet si rammarica che Barrès e Poincaré, rispettivamente console spirituale e console temporale del Blocco nazionale, abbiano perduto la pace dopo aver perduto la guerra140. Qualificando come «errore lorenese» la politica francese in Renania e l’occupazione della Ruhr, e lasciando trasparire i propri sentimenti antinazionalisti e filoeuropei alla vigilia delle elezioni del maggio del 1924141, egli alla fine deplora l’«assenza immensa» di Jaurès – «una specie di Mistral normalista e oratorio», dice di lui altrove142 –, «il retore di Toulouse», il solo che avrebbe saputo opporsi all’«avvocato lorenese» adottando «il punto di vista dell’Europa e dell’umanità»143.



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